Nanoparticelle nel cibo. Gli additivi sono dannosi?

Tutti i giorni, senza esserne consapevoli abbiamo a che fare con un mondo microscopico, invisibile ai nostri occhi, composto da materiali le cui dimensioni elementari sono particelle di grandezza compresa tra 1 e 100 nanometri. Una misura difficile da immaginare: se si visualizza lo spessore di un capello umano, occorre poi provare a immaginare qualcosa di almeno mille volte più piccolo. Sono i nanomateriali, sostanze ingegnerizzate per acquisire proprietà che nella loro forma normale non avrebbero. A livello nanometrico, infatti, le proprietà dei materiali cambiano completamente ed è possibile sfruttare queste capacità in una vasta gamma di situazioni, dal campo dell’ingegneria e del design, con l’impiego di nanomateriali che hanno particolari doti di elasticità e resistenza, a quello medico e farmacologico, con la creazione di protesi biomediche o di nano-farmaci, ma anche a quello alimentare.

Le nanoparticelle negli alimenti
Anche l’industria alimentare utilizza una serie di additivi, e altre sostanze, in forma nano per migliorare gusto, colore, sapore, stabilità e conservazione degli alimenti. Ma sull’utilizzo delle nanoparticelle nel cibo ci sono parecchie perplessità, perché non è ancora stata definita una procedura in grado di verificare l’effettiva tossicità degli additivi, regolarmente autorizzati, quando sono utilizzati nella forma nano. Inoltre, a causa di una normativa ambigua, non sono neppure segnalati in etichetta. Per vederci chiaro la rivista Insalute, ha cercato le nanoparticelle in tre additivi. Si tratta del biossido di titanio (E171); dell’argento (E174) che dà ad alcuni prodotti come le decorazioni per torte il loro colore peculiare; e del biossido di silicio (E551), un additivo antiagglomerante usato in molti alimenti in polvere per evitare che con l’umidità si formino grumi.
I risultati del test sono stati esaustivi infatti le analisi hanno evidenziato che in quasi tutti i casi gli additivi segnalati in etichetta senza alcun riferimento alla loro forma nano, contenevano in realtà nanoparticelle in percentuali variabili dal 27 al 76% nel caso del biossido di titanio, e al 100% per quel che riguarda l’argento e il biossido di silicio. Il tutto nel silenzio colpevole dell’etichetta.

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